Scelte silenziose

Di nuovo quel suono, di nuovo tarda notte. Violet era stata via per un po’ di tempo e non aveva sentito la mancanza di quel rumore. Un avviso, da parte di chi, non lo voleva sapere.

Ignorò quel suono stridente come era solita fare ma le balenò per la mente quella volta che trovò, ancor più a notte fonda, il parcheggio vuoto vicino al suo. Continuava a ripetersi che non erano affari suoi. Poteva continuare a sorseggiare il suo the prima di andare a letto. Poteva distrarsi leggendo un libro, poteva togliersi quel pelo incarnito che da un mese le stava dando il tormento, poteva fare tante cose per cancellare quel suono dalla testa ma non poteva evitare il pugno: quel pugno che la colpiva proprio lì sotto al seno, il dolore, la voglia di scappare via, di nuovo. Fuggire da quella farsa ancora un’altra volta, percorrere chilometri lontano dall’ipocrisia.

Non era servito la prima volta, non sarebbe servito adesso, pensò Violet.

Si chiedeva perchè fosse di nuovo al punto di partenza, perchè le persone non riuscissero ad abbandonare il passato, perchè lei fosse così diversa. Si chiedeva perchè le persone non fossero più capaci di fare una scelta. Scegliere avrebbe semplificato tutto ma scegliere avrebbe implicato anche perdere ciò che non si sarebbe scelto. A nessuno piace perdere.

Violet eppure perdeva tutto in continuazione: calzini, elastici, penne, ragazzi…ma a lei piaceva scegliere, e non importava il giusto o sbagliato, era tutto così dannatamente relativo. Importava la scelta ed il motivo di essa.

La maggior parte delle persone tende a rimanere aggrappata a tutto dando colpi al cerchio ed altrettanti alla botte, senza riuscire a prendere una cazzo di decisione, confidando sempre che il tempo sistemi le cose.

Di tempo ne era passato eppure ancora quel suono, ancora a notte fonda.

Violet non sopportava quell’ignavia, il “vivi e lascia vivere”, l’accontentarsi di un mondo così povero, arido e squallido.

Ecco di nuovo il pugno sotto al seno. Una morsa che sembrava prenderle l’anima e stritolarla per ricordarle che lei ne aveva una, che poteva essere migliore, che non era obbligata ad ascoltare quel suono, che poteva andarsene e non tornare questa volta, che non doveva niente a quello schifo che la circondava che aveva ignorato e perdonato troppe volte.

Non tornare poteva essere una soluzione ma Violet era stanca di scappare.

Sarebbe stato così semplice prendere quel maledetto telefono, digitare “Lasciaci in pace”, premere invio e dimenticarsi di tutto, non udire più quel suono ma, forse, nemmeno quello sarebbe servito, forse, era l’unica a voler essere lasciata in pace. Purtroppo, pensò, non era una sua decisione nonostante si trovasse lì ancora un’altra volta a bere il suo the.

Le foglie sul fondo della tazza avevano perso ormai il loro profumo e sapore e il calore della bevanda aveva sciolto il pugno lentamente. Non era più l’adolescente che rispondeva male al telefono, aveva imparato a combattere, aveva imparato a fare a pugni ma soprattutto aveva imparato a scegliere o a perdere che dir si voglia.

Guilty

Violet quella sera era con un gruppo di ragazzi che conosceva mentre stava aspettando una sua amica per andare a ballare. Uno di questi, ormai incapace di intendere e di volere, annebbiato dalle sei ore precedenti scandite in litri invece che da minuti, le disse che adorava il suo profumo, l’aveva definito un profumo da donna donnissima.

In realtà Violet fino a qualche mese prima non aveva un profumo preferito ma il nome di quell’essenza faceva ormai parte di lei : colpevole.

Che poi di cosa, colpevole, non se lo spiegava ma se lo sentiva.

Colpevole, forse, di seguire i suoi sentimenti, di voler capire i battiti di un cuore, di cedere alle emozioni, di vivere come non ci fosse un domani. E allora sì, quello era diventato il suo profumo e lo “lasciava in giro come a dire io ci sono”.

Infatti lei era lì, ancora un’altra volta, con la sua voglia di vita, il suo sorriso, le sue paure, fiera di avere quella boccetta in borsa, fiera di sentirsi colpevole.

Sicuramente lei nell’aria era rimasta e con lei anche la colpevolezza era diventata contagiosa per chi aveva saputo utilizzare bene l’olfatto.

Nome in prestito

Violet aveva conosciuto un ragazzo quella sera, il suo nome già la doveva mettere sull’attenti ma ovviamente non poteva evitare tutti i ragazzi con quel nome da lì all’eternità, si fosse chiamato Agamennone poteva essere anche fattibile ma no, il suo era un nome troppo comune.

Tutto sommato era un tipo simpatico, alla mano, sapeva parlare, ci stava provando spudoratamente e lei quella sera aveva bisogno di attenzioni, di sentirsi donna. Sapeva che non era una gran mossa, sapeva che concedergli quel bacio non avrebbe portato molto lontano, non le importava, voleva provare ad essere leggera, una volta almeno nella sua vita. Si divertì in mezzo a quei vicoli bui e semideserti di quella città che poi era più simile ad un paese, una città dove si conoscono tutti ma dove ognuno fa i fatti suoi. Violet però non rimase a dormire nonostante i ripetuti inviti, se ne andò, un po’ contro il suo volere, un po’ apposta perchè sapeva il suo valore, era finalmente diventata consapevole di se stessa ed era convinta di valere l’impegno di un uomo ed oltre a questo aveva iniziato a capire quali qualità desiderava nella persona che avrebbe voluto al suo fianco, perciò se ne andò, lasciando a quel ragazzo solo l’immaginazione di una notte con lei.

Violet avrebbe voluto solo divertirsi un po’ con quel ragazzo ma anche nel divertimento lei ricercava un po’ di lotta, di tenacia, di fatica. Il suo istinto infatti le diceva che egli non avrebbe superato quella prova perchè fondamentalmente nonostante l’età era solo un ragazzo, amante dei giochi semplici; ecco una scatola con scritto 14+ sarebbe stata per lui già troppo impegnativa.

Violet era una donna ormai e i suoi pezzi non stavano di certo dentro un cartone della Fisher Price.

Quel ragazzo si dimostrò esattamente come Violet aveva immaginato lasciandole il pensiero che nella sua vita non tutti possono indossare quel nome, sebbene comune, solo uno sapeva come fare, solo uno dava a quella semplice parola una personalità, tutti gli altri, poveri loro, erano solo doppioni, omonimi senza significato e inevitabilmente quell’uno avrebbe fatto il culo a quel ragazzo più grande di lui.

Quando meno se lo aspetta

” Diamine, dove sono le chiavi di questa casa? Perchè arrivo sempre prima di tutti? questa volta ho fatto proprio tombola, anche prima del proprietario sono arrivata!”

Pensava Violet mentre cercava le chiavi dentro un vaso di terracotta a forma di sedere nel porticato della casa di un semi sconosciuto.

“Sono venuta prima per dare una mano, per non scroccare solamente una cena, forse perchè non ho molti impegni, ma mai avrei pensato di trovarmi in questa situazione, mia sorella mi aveva detto che poteva capitare ma non riuscivo a credere che sarei dovuta entrare da sola frugando per cercare le chiavi, dovevo ascoltarla meglio, almeno adesso saprei dove trovarle quelle maledette. Ma si può nascondere le chiavi in un sedere?”

Continuò a cercare freneticamente e pensava a quanto fosse ridicola quella situazione, fino a qualche mese prima a quella cena non sarebbe mai andata, nè sarebbe stata invitata, avrebbe passato il venerdì sera a casa aspettando il suo ragazzo, avrebbero guardato qualcosa in televisione e fatto l’amore. Il ragazzo però non c’era più, l’amore forse non c’era già da prima, il sesso non è venuto nemmeno dopo ma almeno non aveva più quella continua sensazione di star sbagliando qualcosa,quella sensazione che non riusciva a spiegare, figuriamoci a capire. Però sapeva che se ne era andata e le stava bene così. La sua vita non era poi cambiata più di tanto, aveva solo smesso di aspettare e così veniva invitata a cene, aperitivi, after dinner e chi più ne ha, più ne metta. Era quasi sempre la stessa solfa, di rado conosceva qualcuno che le interessasse ma continuava ad accettare gli inviti, non si poteva mai sapere. Voleva vedere cosa le riservava la vita e di certo non lo poteva fare chiusa in casa, a questo punto pensandoci bene nemmeno chiusa fuori da quella casa.

“Strano questo ragazzo a lasciare che gli altri entrino senza che lui lo sappia, deve essere molto amico di mia sorella per averle detto dove tiene le chiavi…eccole finalmente, le ho trovate. A questo punto credo che entrerò almeno metto in frigorifero il dolce e poi aspetterò che arrivino gli altri, mia sorella lo avrà avvisato e poi se non è un problema per lui, non vedo il perchè dovrebbe esserlo per me.”

Aprì la porta e si accorse da subito che però non era da sola, pensò ai ladri ma notò a prima vista che lì probabilmente non c’era molto da rubare e allora si fermò decisa a fare marcia indietro quando un ragazzo si affacciò dal corridoio ed iniziò a fissarla.

” Eccoci bella figura che ci faccio, perchè però non mi dice nulla? mi fissa e basta. Che occhi singolari, si muovono velocemente pur guardando un unico punto, come se volessero scappare ma fossero bloccati da una forza maggiore. Ha l’aria stanca questo ragazzo, non sembra felice…certo che no, gli sono appena piombata in casa senza permesso!”

Finiti i suoi processi mentali Violet si scusò per l’improvvisata e lui le rivolse un mezzo sorriso ambiguo ma sincero e lei si ritrovò a guardare i suoi piedi che non stavano mai fermi eppure non si era mossa nemmeno di una mattonella e pensò che i suoi piedi erano proprio simili agli occhi che ancora la stavano fissando.

Amicizia all’asilo n°3

Un paesino di poche anime, 30/01/2015

Care mamme dell’asilo n°3,

vi scrivo perchè sono la mamma di Violet e noi siamo nuove qui, perciò vorrei raccontarvi la nostra storia.

Violet ha 5 anni ed è sieropositiva, questa è la terza volta che è costretta a cambiare asilo poichè non appena i genitori scoprono la sua malattia smettono di mandare i figli a scuola costringendomi alla fine a ritirare Violet dall’istituto.

Questa è la nostra storia in breve e vi risparmio la descrizione di ciò che io e mia figlia abbiamo provato ogni qualvolta ci siamo sentite abbandonate e incapaci di risolvere la situazione.

Le maestre mi hanno sconsigliato di scrivere questa lettera per non provocare il tanto temuto allarmismo e assenteismo strategico, ma io sono qui oggi, con la mia penna e un pezzo di cuore in mano, a pregarvi di accettare Violet tra i vostri figli, è una bambina dolce e sa che non deve “toccare” gli altri bambini per precauzione, ormai è abituata a convivere con questo fardello e cerca di continuare a vivere la sua infanzia finchè le viene permesso. In questo è più forte di me, forse anche di più visto che ancora mi rammarico per non averle dato un mondo all’altezza della straordinaria bimba che è.

Vi prego dunque di non avere paura, di spiegare il problema ai vostri figli e di permettere che Viola abbia un asilo in cui rifugiarsi. Vi ringrazio per la vostra attenzione e spero di incontrarvi alla prossima assemblea genitori-insegnanti.

In fede Maddalena

All’asilo n° 3…

Valiant nell’ora di gioco si avvicina a Violet e le dà una carezza, lei si scosta e dice:

” Che fai? Mia madre dice che non posso toccare gli altri bambini.”

“Mia madre dice solo che non ti devo mordere come Suarez.”

“E che vuol dire?”

“Che non ti devo ferire ma posso darti tutte le carezze che vuoi.”

Abbastanza per chi?

Violet lo incontrò quella sera dopo tre anni.

Le mani iniziarono a stringersi in pugni, le pupille dilatate ma immobili, ogni muscolo irrigidito nel vano tentativo di restare impassibile, ma il cuore non riusciva a controllarlo, faceva un tale fracasso da dentro la sua rigida gabbia, sembrava voler andare a fare una corsa fuori dal corpo e più Violet sentiva i battiti e più cercava il controllo, consapevole che è difficile controllare le anomalie cardiache.

Lui è sempre stato l’oggetto del suo desiderio, tutti gli anni di superiori passati a guardarlo, ad ascoltarlo e a pensare che meglio di lui non ci sia, affascinata dal suo carattere misterioso, trasformista e dannato. Violet non aveva mai detto a lui cosa pensava, paura di essere rifiutata ma ancor più paura di essere brevemente amata. Nel silenzio trovò il rifugio la sua paura e per tutti quegli anni lo aveva avuto accanto, compagno di banco e a lei bastava.

In quel momento però, proprio quando era da tempo che non faceva parte dei suoi pensieri, il rivederlo scaturì in lei le stesse identiche sensazioni e il caos prese il sopravvento all’interno della sua anima. La sua amica, visto i falliti tentativi di celare il turbamento le chiese il perchè non andasse a salutarlo, a parlarci e magari invitarlo a bere qualcosa. Violet al pensiero quasi svenne e rispose:

“Non sono abbastanza per lui, non lo sono mai stata e mai lo sarò.”

La sua amica lo guardò, la guardò ed espresse il suo disappunto:

“Non si può “non essere abbastanza per qualcuno” e non è vero che, se non si è abbastanza per qualcuno allora nemmeno lui è abbastanza per noi, magari non si è abbastanza insieme, magari smettiamo di non essere abbastanza, magari siamo tutto.”

Violet non poteva non darle ragione ma non poteva, non poteva sopportare che la realtà potesse essere diversa dalla sua fantasia, il luogo dove tutto poteva accadere e dove lei era felice.

 

 

L’amore ai tempi dei fazzoletti

Violet pensava a sua nonna e al suo fazzoletto di stoffa. Un fedele compagno, sempre nella sua tasca, pronto a ricevere gli sfoghi dei suoi mali, ad asciugare il sale delle sue lacrime e poi rimesso in tasca fin quando i germi ed il dolore accumulato non fossero stati troppi. A quel punto la nonna prendeva il fazzoletto e lo lavava, una forte drusciata per togliere le macchie di ciò che l’aveva angosciata. Una volta asciutto, il fazzoletto riprendeva il suo posto nella tasca.

La storia di un amore immaginò Violet, ognuno a togliere via i mali dell’altro, comunque insieme, nonostante certe macchie a volte restino.

Penso a sè e alla sua generazione che piange sui kleenex , sottili, igienici ma fragili veli che non reggono il trauma di un banale raffreddore. Così ci si consola consumando un fazzoletto dietro l’altro, tanto la scatola ne è piena e se ne può sempre comprare un’altra, ma tutti quei fazzoletti sono destinati ad essere utilizzati e poi gettati.

La sua era una generazione di fazzoletti che si accartocciano su se stessi, storie di brevi amori infelici.

Violet aprì quel cassetto e mise in tasca un fazzoletto: bianco, allegro, profumato, di stoffa.

a ognuno il suo fazzoletto
a ognuno il suo fazzoletto

 

 

25 rose (a D dedicata)

Erano più le rose dei suoi anni, un mazzo enorme, rose rosse di calore e forse amore. Quante volte Violet aveva desiderato di ricevere un mazzo così, un gesto d’amore improvviso una sorpresa, come una carezza che ti dona un sorriso. Adesso sul suo viso un ghigno a denti stretti, non sapeva spiegarsi il perchè ma forse era un problema di naso.

Quelle rose non avevano l’odore che tanto aveva immaginato, profumavano di passato, di qualcosa che c’era ma che ormai se ne era andato. Mancava la gioia e l’aroma di quel futuro che era lì in attesa, che restava paziente in disparte ma che ovunque spargeva la sua briosa e vitale essenza, un odore che le si era impregnato addosso e che quella sera le faceva sentire la sua assenza.

Assenza da lei voluta perchè la paura era tanta, come si dice “si sa quel che si lascia ma non si sa quel che si trova”.

Violet lo sapeva bene, troppe volte certi aromi le avevano dato alla testa, ubriacata e stordita, troppe volte aveva cambiato la sua vita.

Ora non sapeva più che fare, in una stanca mano quel mazzo di rose e negli occhi il profumo di un nuovo amore.

Una porta socchiusa ai confini del sole

Quel giorno Violet si sentì come Colonna (Emeraude), piegata dal peso che portava sulle spalle, il peso delle  scelte e quello dei sogni nascosti. Si sentiva come se quello non fosse il suo posto, come se fosse stata messa lì solo perchè era una ragazza forte, pura, con senso del dovere e una grande Volontà.

Quella volontà non poteva reggere quel mondo perfetto e così Violet come Colonna se ne andò verso lidi più soleggiati, verso fugaci amori e brevi passioni prive di responsabilità, lasciando dietro di sè un mondo che iniziò a crollare su se stesso senza più regole nè ordine.

La porta dietro di sè l’aveva sbattuta forte ma come spesso succede si riapre per la troppa violenza rimanendo così socchiusa, permettendo ad un guerriero di inseguirla.

Più la inseguiva, più lei fuggiva, ma un giorno, stanca, lo aspettò pronta a morire piuttosto che a tornare alle sue responsabilità. Quando la raggiunse le disse: “Non devi fuggire da sola, ti porterò io ovunque tu voglia andare.”

Così facendo si caricò sulla sua armatura Violet e il peso dei suoi sogni che stranamente si facevano sempre più leggeri ma sempre più reali.

Emeraude personaggio del cartone  "una porta socchiusa ai confini del sole"
Emeraude personaggio del cartone “una porta socchiusa ai confini del sole”

La paura ha le mani calde

Non doveva essere lì, continuava a ripetersi Violet, cosa stava facendo? Per ora nulla di male, ascoltava una canzone e lo guardava.

Non abbassava la guardia lui, si vedeva da lontano, sguardo duro anche nel sorriso, aveva i demoni dentro, riusciva a vederli, quella canzone lo aveva reso vulnerabile, non sapeva perchè avesse voluto che la sentisse.

Sperava forse che Violet non lo guardasse mentre ascoltava? Ma lei era curiosa, troppo, lo aveva guardato per tutto il tempo, in quei 5 minuti aveva gli occhi di un bambino, così trasparenti che era riuscita ad arrivare a fondo.

I suoi demoni lui li amava, non li combatteva, lo rendevano diverso, unico e non li nascondeva come aveva fatto Violet fino a quel momento.

Iniziò a capire che l’oscurità faceva parte di lei quanto di lui, lei era fuggita, lui invece l’aveva travolta e ne era stato travolto a sua volta. Le aveva concesso di toccare la sua oscurità e così l’aveva intrappolata in quel buio maledetto, affascinata e avvolta in una nube di devastazione e magia.

La magia però ha sempre un prezzo, Violet stava scherzando con il fuoco, si sarebbe bruciata, le mani già lo sapevano, roventi di un calore che nasceva dal gelo.